Il “Motto” e lo “Stemma”

 

“VISUS EST ET VIDIT”
(Sant’Agostino – Discorso 174: 4,4)

  Et vidit Dominus ipsum Zacchaeum. Visus est, et vidit”… Zaccheo vide Gesù, fu guardato da Gesù

 

 

Queste parole scelte da don Andrea per il proprio motto episcopale sono tratte da Sant’Agostino laddove lo stesso commenta l’incontro di Gesù con Zaccheo, narrato dall’Evangelista Luca (Lc 19,5-6).

 

Nel 2009, scrivendo la Prefazione a un libro di don Giacomo Tantardini sul pensiero di Sant’Agostino, l’allora cardinal Bergoglio così descriveva la propria fede utilizzando a tal fine il passaggio agostiniano. «L’immagine per me più suggestiva di come si diventa cristiani», osservava l’Arcivescovo di Buenos Aires, «è il modo in cui Agostino racconta e commenta l’incontro di Gesù con Zaccheo».

 

Infatti, l’autore del libro, don Tantardini, così esprime il proprio pensiero sul valore dell’incontro:  “Alcuni credono che la fede e la salvezza vengano col nostro sforzo di guardare, di cercare il Signore. Invece è il contrario: tu sei salvo quando il Signore ti cerca, quando Lui ti guarda e tu ti lasci guardare e cercare. Il Signore ti cerca per primo. E quando tu Lo trovi, capisci che Lui stava là guardandoti, ti aspettava Lui, per primo. Ecco la salvezza: Lui ti ama prima. E tu ti lasci amare. La salvezza è proprio questo incontro dove Lui opera per primo. Se non si dà questo incontro, non siamo salvi. Possiamo fare discorsi sulla salvezza. Inventare sistemi teologici rassicuranti, che trasformano Dio in un notaio e il suo amore gratuito in un atto dovuto a cui Lui sarebbe costretto dalla sua natura. Ma non entriamo mai nel popolo di Dio. Invece, quando guardi il Signore e ti accorgi con gratitudine che Lo guardi perché Lui ti sta guardando, vanno via tutti i pregiudizi intellettuali, quell’elitismo dello spirito che è proprio di intellettuali senza talento ed eticismo senza bontà.”

 


 

Gli ornamenti esterni caratterizzanti lo stemma di un Arcivescovo Metropolita, oltre ai venti fiocchi verdi pendenti ai due lati dello scudo, sono la croce astile arcivescovile e il pallio.

Tale croce, detta anche “patriarcale”, a due bracci traversi, identifica appunto la dignità arcivescovile: infatti, nel XV secolo, essa fu adottata dai Patriarchi e, poco dopo, dagli Arcivescovi. Alcuni studiosi ritengono che il primo braccio traverso, quello più corto, volesse richiamare il cartello con l’iscrizione “INRI”, posto sulla croce al momento della Crocifissione di Gesù.

Il pallio è un paramento liturgico, tipico degli Arcivescovi con giurisdizione metropolitana, cioè di Arcivescovi che presiedono una provincia ecclesiastica con una o più diocesi, chiamate suffraganee. Secondo alcune interpretazioni, esso rappresenta l’agnello portato sulle spalle, dal Buon Pastore e le due strisce terminali di seta nera simboleggiano gli zoccoli. E’ l’Agnello crocifisso per la salvezza dell’umanità intera; questo spiegherebbe l’uso della lana, delle sei croci decorative e delle tre spille, le acicula, raffiguranti i tre chiodi della croce di Cristo, che vengono infilate nel pallio durante le celebrazioni.

Tale paramento è il simbolo di un legame speciale con il Papa ed esprime inoltre la potestà che, in comunione con la Chiesa di Roma, il metropolita acquista di diritto nella propria giurisdizione.

Il Patrono di Salerno è San Matteo. Nella ricca iconografia che riguarda l’Evangelista, egli viene spesso rappresentato mentre si accinge a scrivere, con una penna d’oca, il proprio Vangelo e ciò avviene, secondo la tradizione, sotto dettatura di un angelo. Anche nel gonfalone della città di Salerno appare tale rappresentazione ed ecco quindi il motivo del braccio (destrocherio in araldica) con la mano che regge la penna, posto nella parte alta dello scudo dell’Arcivescovo. Tale immagine, oltre che a costituire omaggio alla città in cui vi è la sede vescovile, ci ricorda l’inizio della fede, nella memoria degli Apostoli ed Evangelisti: infatti, il Vangelo di Matteo inizia con l’elencazione della genealogia di Gesù.

La banda ondata azzurra, simbolo dell’acqua, rappresenta lo scorrere ininterrotto della Tradizione della Chiesa che ci rende oggi partecipi dell’origine di tutto. Inoltre, è nello stesso tempo richiamo al fiume Arno che attraversa la città di Firenze, luogo di nascita di Mons. Bellandi e della costiera tirrenica su cui si affaccia l’Arcidiocesi di Salerno.

Il tralcio di vite, unitamente alle spighe, costituisce evidente richiamo al Sacramento dell’Eucaristia, unitamente all’esortazione giovannea (Gv 15,1-8) che nella parabola della vera vite e dei tralci ispira a rimanere uniti nel Signore per poter portare frutto.

L’oro è il primo tra i metalli nobili, simbolo quindi della prima Virtù, la Fede: infatti è grazie alla Fede che possiamo comprendere il messaggio d’amore salvifico del Padre.

L’argento simboleggia la trasparenza, quindi la Verità e la Giustizia, doti che devono accompagnare quotidianamente lo zelo pastorale del Vescovo.