Biografia dell’Arcivescovo Nicola Monterisi
Nacque a Barletta il 21 maggio 1867. Frequentò il Ginnasio presso il Seminario Interdiocesano di Bisceglie (1881-1886) e il liceo presso il Seminario Vaticano (1886-1889). Negli anni 1889-1893 fu alunno dell’Almo collegio Capranica e studiò Filosofia e Teologia presso l’Università Gregoriana. Si laureò in Teologia dogmatica alla Gregoriana, in Diritto Canonico all’Apollinare e in Lettere presso la Regia Università di Roma. 

Fu ordinato sacerdote il 15 agosto 1893. Rientrato nella diocesi di Barletta insegnò Teologia nei seminari di Bari, Trani e Bisceglie fino al 1908.

Fu attento alle esigenze sociali dell’epoca, facendosi promotore per l’impegno del laicato nella Chiesa e nel mondo. Fu tra i fondatori del Circolo Leone XIII, che riuniva i giovani cattolici in contrapposizione ai gruppi politici anticlericali del territorio. Nel 1902 fondò il periodico cittadino Il Buon Senso.

Negli anni in cui fu parroco a Barletta (1908-1913) si distinse non solo per il ministero sacerdotale, ma anche per l’impegno civile: nel 1910, mentre nella città infieriva il colera, si offrì come cappellano del Lazzaretto, restando in quel luogo per un lungo lasso di tempo nonostante il rischio di essere contagiato, dando esempio di attenzione sociale.

Papa San Pio X, con bolla del 22 agosto 1913, lo nominò vescovo di Monopoli. Fu consacrato il 7 settembre 1913 dal cardinale Antonio Vico.

Il 15 dicembre 1919 fu promosso arcivescovo di Chieti.
Il 5 ottobre 1929 fu traslato nella sede primaziale di Salerno.

Nel trentennio del suo episcopato si mostrò uomo di grandi vedute e capacità organizzative, contribuendo ad un’opera capillare di moralizzazione e di evangelizzazione. Col suo impegno colmò in campo formativo le lacune di una popolazione proveniente da un passato difficile. Si adoperò per far sorgere nuove parrocchie, case religiose maschili e femminili.

Nella lettera inviata all’Arcidiocesi di Salerno dopo la sua nomina, Mons. Monterisi dà profondità al suo pensiero:  “Il successo benefico della mia missione a Salerno – scrive – dipende in gran parte da voi; vorrei dire in massima parte, anzi forse tutto da voi”. Perché “la Chiesa gerarchica e visibile, a capo della quale c’è il Romano Pontefice – mentre a capo delle singole diocesi c’è il Vescovo -, è solo l’organizzazione esterna e sensibile di quell’altra realtà interiore e ben più profonda, che appartiene al Corpo Mistico. Il Corpo Mistico è principalmente la misteriosa estensione di Gesù negli uomini, … (Essa forma) di Gesù e dei suoi credenti realmente un essere solo. La quale unità … è l’effetto sostanziale dell’Eucarestia. Il successo della Gerarchia esterna della Chiesa dipende dalla vitalità intrinseca del Corpo Mistico. Se in diocesi ci sono santi, molti santi, grandi santi, il successo è assicurato; altrimenti, qualunque sia l’opera o l’intelligenza o la prudenza o l’esperienza umana del Vescovo, egli forse lavora invano” (op. cit., p. 163).

Di fatto, in tutti i suoi atti ed i suoi scritti Mons. Monterisi si manifesta autenticamente come Vescovo in tale visione di fede. Molti suoi atti coraggiosi sono stati riferiti dagli storici:  il rifiuto alla benedizione dei gagliardetti e delle sedi del partito fascista, il divieto di unire feste religiose e divertimenti organizzati dai civili, la resistenza alla cessione del Seminario al Governo Badoglio. Se cerchiamo le motivazioni di questi gesti, vediamo che esse furono tutte ispirate dal suo senso soprannaturale della funzione del Vescovo, in difesa cioè della Chiesa, della sua morale e dei suoi diritti. Vorrei ricordare l’episodio della sua opposizione alle leggi razziali; sulla base di un documento della Santa Sede, aveva pubblicato un’energica condanna di tali leggi, tanto da provocare un intervento del Ministero degli Interni, con minacce di sequestro ed altro; il Prefetto, preoccupato delle conseguenze, gli aveva raccomandato prudenza:  Mons. Monterisi non esitò a rispondergli che egli trattava questi argomenti non da politico ma da Vescovo, “nel modo difficile di essere banditore delle dottrine di Cristo”. Queste sue parole sono rivelatrici:  un Vescovo ha il dovere di usare, quando necessario, “il modo difficile di essere banditore delle dottrine di Cristo.

La meraviglia dei suoi scritti sta per l’appunto in questo, che Mons. Monterisi da un capo all’altro vi parla dentro come un Vescovo… Egli mira all’essenziale, colpisce in pieno e fa centro:  per lui l’essenziale, il pieno ed il centro è il Cristo; … quel che lo tocca, lo fa trasalire non è l’intelligenza della storia, della teologia, del diritto, ma la conoscenza di Dio attraverso suo Figlio, è la vita di Dio nelle anime attraverso suo Figlio”.

I suoi interventi ebbero eco in Italia e all’estero. La sua famosa lettera pastorale del 1917, “Nella guerra attuale benediciamo il Signore”, fu apprezzata da Papa Benedetto XV ed ebbe addirittura 10 edizioni in Italia, 2 in Francia e una negli Stati Uniti.

Allo scoppio della Seconda guerra mondiale non volle abbandonare mai la città di Salerno, neanche sotto i bombardamenti, e costrinse il suo clero diocesano a fare altrettanto. Si oppose alle truppe del Comando Alleato che volevano requisire il Seminario Regionale. Per questo motivo il capo del Governo Italiano, Pietro Badoglio, mise in dubbio l’amor patrio di mons. Monterisi. L’arcivescovo non esitò a rispondergli: “Non permetto che si metta in discussione la mia italianità; mi sento e sono più italiano del maresciallo Badoglio. Quando il popolo è rimasto solo e stremato dalle sofferenze della guerra io, vecchio di 76 anni, col mio clero sono rimasto al mio posto a conforto e sollievo della popolazione, mentre il maresciallo Badoglio è scappato a Pescara!”.

Visse poveramente a favore della sua popolazione, disponendo che quanto vi era nel palazzo episcopale fosse a favore della mensa arcivescovile. Il 19 marzo 1944 decise di entrare nella Casa S. Giuseppe, ricovero degli anziani di Salerno, con le parole: “per un Vescovo è grande onore morire in mezzo ai poveri!”.

Morì il 30 marzo 1944, alle ore 22.40. Sulla tomba volle vi fosse scritto: “Non mi giovarono in morte tre mitrie e due pallii, ma la divina speranza che avendo il mio Salvatore preso sopra di sé i miei peccati, mi risusciterà seco nell’ultimo giorno”.

Della sua dipartita scrisse questo resoconto il suo Segretario, Mons. Antonio Balducci:

“La morte non lo sorprese. Tutta la sua vita era stata una lenta e serena preparazione all’eternità. Si era già spogliato di tutto, anche delle sue croci preziose e dei suoi anelli da Vescovo; aveva disposto di quanto vi era nel palazzo episcopale a favore della mensa arcivescovile, aveva destinato anche il suo patrimonio familiare … alla parrocchia in cui era stato battezzato.”

A Salerno gli è stata dedicata la scuola media “N. Monterisi” in memoria del suo costante operato la per la città.

Papa Giovanni Paolo II, nella sua visita pastorale a Salerno (26 maggio 1985), così ebbe a dire nel suo discorso ai sacerdoti: “Esprimo un riconoscente pensiero per tutta l’opera, la laboriosità e il governo dei grandi e illustri vescovi che si sono succeduti su questa cattedra episcopale. In particolare, per i tempi a noi più vicini, come non ricordare a comune gaudio ed edificazione il nome di Monsignor Nicola Monterisi, che si prodigò per elevare il tono della vita del popolo e fu pioniere della ancora aperta e complessa questione meridionale? Egli incise in modo determinante nella tensione pastorale dei sacerdoti, infondendo nei loro cuori un vero zelo per la catechesi, l’amministrazione dei sacramenti, l’apostolato dei laici e per l’assistenza ai poveri”.

 

Stemma Mons. Monterisi